Colobraro

Antico centro basiliano, appartenne alla Badia di Santa Maria di Cersosimo di cui seguì le sorti fino al XII secolo. Posseduto per breve tempo dal conte Bertaimo d'Andria, passò ai Conti di Chiaromonte e da questi, nel 1319, ai Sanseverino (famiglia) di Tricarico. Assegnato a metà del XIV secolo ai Poderico, fu successivamente dei Pignatelli, dei Carafa (principi dal 1617) ed infine dei Donnaperna. La parrocchiale conserva un trittico (Madonna col Bambino) del XIV secolo; nella chiesa dei Francescani vi sono ricchi altari in marmo policromo.

Nei paesi vicini, il paese è chiamato anche, in modo scaramantico più che dispregiativo, "Quel paese", in dialetto lucano (a seconda dei paesi): Cudde puaise (a Montalbano Jonico) o Chille paìse (nella vicina Valsinni). Ciò a causa della presunta innominabilità della parola "Colobraro" per la credenza superstiziosa che la semplice evocazione del nome porti sfortuna. È divenuto leggenda metropolitana a tutti gli effetti che tale innominabilità risalga ad un aneddoto di prima della seconda guerra mondiale. L'allora podestà, avvocato di grande cultura e persona molto nota, alla fine di una sua affermazione avrebbe detto qualcosa del tipo: "Se non dico la verità, che possa cadere questo lampadario". A quanto si racconta il lampadario sarebbe caduto davvero, secondo alcuni facendo molte vittime, secondo altri in una stanza deserta.

Più probabilmente, la sinistra fama del paese deriva dalla credenza, soprattutto degli abitanti dei paesi vicini, nelle arti magiche di alcune donne che vi dimoravano nel secolo scorso, tra cui la famosa "Cattre", al secolo "Maddalena la Rocca", immortalata da Franco Pinna nei primi anni cinquanta, una "masciara", ovverosia una maga locale.

Il famoso antropologo Ernesto De Martino visitò il paese nel 1952 (dal 29 settembre al 29 ottobre) e successivamente nel 1954 (tra l'8 e il 14 agosto), e riferì di essere stato protagonista, in accordo con la superstizione, di episodi sfortunati insieme al suo gruppo di ricerca (di cui faceva parte lo stesso Pinna).

Antico centro basiliano, appartenne alla Badia di Santa Maria di Cersosimo di cui seguì le sorti fino al XII secolo. Posseduto per breve tempo dal conte Bertaimo d'Andria, passò ai Conti di Chiaromonte e da questi, nel 1319, ai Sanseverino (famiglia) di Tricarico. Assegnato a metà del XIV secolo ai Poderico, fu successivamente dei Pignatelli, dei Carafa (principi dal 1617) ed infine dei Donnaperna. La parrocchiale conserva un trittico (Madonna col Bambino) del XIV secolo; nella chiesa dei Francescani vi sono ricchi altari in marmo policromo.

Nei paesi vicini, il paese è chiamato anche, in modo scaramantico più che dispregiativo, "Quel paese", in dialetto lucano (a seconda dei paesi): Cudde puaise (a Montalbano Jonico) o Chille paìse (nella vicina Valsinni). Ciò a causa della presunta innominabilità della parola "Colobraro" per la credenza superstiziosa che la semplice evocazione del nome porti sfortuna. È divenuto leggenda metropolitana a tutti gli effetti che tale innominabilità risalga ad un aneddoto di prima della seconda guerra mondiale. L'allora podestà, avvocato di grande cultura e persona molto nota, alla fine di una sua affermazione avrebbe detto qualcosa del tipo: "Se non dico la verità, che possa cadere questo lampadario". A quanto si racconta il lampadario sarebbe caduto davvero, secondo alcuni facendo molte vittime, secondo altri in una stanza deserta.

Più probabilmente, la sinistra fama del paese deriva dalla credenza, soprattutto degli abitanti dei paesi vicini, nelle arti magiche di alcune donne che vi dimoravano nel secolo scorso, tra cui la famosa "Cattre", al secolo "Maddalena la Rocca", immortalata da Franco Pinna nei primi anni cinquanta, una "masciara", ovverosia una maga locale.

Il famoso antropologo Ernesto De Martino visitò il paese nel 1952 (dal 29 settembre al 29 ottobre) e successivamente nel 1954 (tra l'8 e il 14 agosto), e riferì di essere stato protagonista, in accordo con la superstizione, di episodi sfortunati insieme al suo gruppo di ricerca (di cui faceva parte lo stesso Pinna).

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