Melizzano

Situato a metà strada tra Solopaca e Dugenta, Melizzano sorge in una zona collinare e si “adagia” sul costone tufaceo, che si affaccia sul “Maltempo”, affluente del Calore. Il paese è situato a 190 m sul livello del mare, e conta circa 2000 abitanti. Melizzano viene ricordata per la prima volta da Tito Livio quando il console Fabio, durante la guerra annibalica, per riprendere le città che erano passate al nemico, si diresse verso il Sannio.

“Il paese di Caudio nel Sannio fu più di tutti devastato violentemente; i campi furono incendiati in lungo e in largo; fu fatta ricca preda di bestiame e di uomini; le città di Compulteria, Telesia, Compsa, Melae, Fagifula e Orbitanio furono prese con la forza” (Livio, XXIV, 20). Melizzano appare chiaramente quando il primo giugno 1421 la Regina Giovanna II dona in feudo la Contea di S. Agata dei Goti e la Baronia di Tocco, i castelli di Durazzano, Limatola, Melizzano, Bagnoli e Valle di Maddaloni, confiscati a Baldassarre della Ratta e già posseduti da Carlo Artus e Onorato I Caetani (Caetani, Reg. Chart. IV, pp. 5-11).



Tuttavia il Conte Giovanni della Ratta, figlio di Baldassarre, giovane bello ed aitante nell'aspetto, valoroso cavaliere, designato dal Re Alfonso I d'Aragona ad accompagnare nel 1452 l'imperatore di Germania Federico III e la moglie nelle feste tributate a Napoli ai due sovrani, per i servizi resi al Re Alfonso riesce ad ereditare le terre ei feudi confiscati al padre (Esperti , Mem. Ist., p.248). Difatti fu proprio in occasione del suo matrimonio con Anna Orsini che il Re Alfonso gli concesse le terre ei feudi appartenuti al padre (Indice delle Cedole di Tesoreria, oggi distrutte, Arch.St. Napoli, f. 39). Morto il Conte Giovanni nell'agosto del 1457, il figlio Francesco, avendo avuto per balio da Re Ferdinado il cugino Giacomo della Ratta, Arcivescovo di Benevento, ebbe riconfermati i possedimenti ei titoli paterni, il 18 luglio 1458, tra i quali i feudi di Limatola, Dugenta ei castelli di Frasso e Melizzano (Ricca E., Ist. Dei Feudi, p. 624 – Fonti Aragonesi XII p. 95).

Si perviene al 26 marzo 1506 quando Caterina della Ratta ebbe confermati dal Re Ferdinando il Cattolico i possedimenti degli avi, tra cui i feudi di Limatola, Dugenta, Frasso e Melizzano (Minieri Riccio, dal Repertorio di Terra di Lavoro, nell'Arch. Di Stato di Napoli, fascicolo III, 1893/4, p.677-8). Alcuni anno dopo tali possedimenti furono ereditati da Francesco Gambacorta che nel 1510 sposò Caterina della Ratta, nipote della Contessa Caterina Melizzano ha una frazione, il Torello, il cui nome deriva dai “Turielli”, due torri d'avvistamento che erano situati su due colli a guardia della strada d'accesso ai monti del Taburno, in periodo longobardo.

La parte storica è caratterizzata dalla presenza dei resti di quella che era l'antica Chiesa, che aveva anche la funzione, nel sotterraneo, di cimitero. Nella Chiesa stessa, era contenuto anche un convento. L'altro centro più antico e caratteristico del paese è la Starza , anch'essa risalente al periodo longobardo (infatti i Longobardi solevano dividere la città in “starze”). L'esistenza di altri centri religiosi è testimoniata dagli uliveti di stampo benedettino che caratterizzano le colline, dalla zona di S.Spirito, dov'era situata un'abbazia, dalla cappella in Valle Corrado, e dal Santuario della Madonna della Libera, che ospita la statua omonima, settecentesca. Strutture caratteristiche del centro del paese sono la Chiesa dei SS Pietro e Paolo, il castello appartenente ai Caracciolo D'Aquara, la fontana e alcuni palazzi nobiliari appartenenti ad antiche famiglie del paese.

LA CHIESA SS PIETRO E PAOLO L'area di Melizzano fu abitata sin d'età sannitica come attesta la necropoli ritrovata. In età medievale, ritenendo di dubbia identificazione una citazione di età longobarda, il primo riferimento certo è nel “Catalogus baronum” normanno (1150 circa). Ma non si fa menzione delle chiesa di S. Pietro né in questo né nei documenti successivi per cui le origini della chiesa restano oscure. Indirettamente, per la presenza del centro abitato e la titolazione, se ne può ipotizzare la fondazione al XII secolo. L'elenco degli arcipreti è documentato dal 1388.



Si crede che la chiesa attuale sia stata costruita nel 1742, sotto il parroco Mancino. L'edificio probabilmente sostituì una chiesa preesistente (distrutta dal grande sisma di Cerreto, 1688) della quale resta il piccolo portale laterale in calcare, di aspetto quattrocentesco ma con la data AD 1881. In forme ridotte e con soluzioni di minor ricchezza decorativa, la gradinata del sagrato e la geometria della facciata ricordano i corrispondenti elementi della Collegiata di San Martino di Cerreto Sannita (1728-30). Una coppia di doppie paraste per lato delimitano la facciata; sono sovrastate da altrettanti pinnacoli.

Due paraste semplici, inquadrano il semplice portale; il secondo livello, terminato da un timpano triangolare, è raccordato al primo grazie a due profili curvilinei concavi. Due oculi mistilinei (in basso, sui portali laterali) e un finestrone rettangolare danno luce all'interno, a tre navate, divise da pilastri che sorreggono volte a botte. Le pareti delle navate, delle numerose cappelle laterali e le volte sono riccamente decorate da stucchi settecenteschi di vario ed pregevole disegno, probabilmente realizzato su committenza dei baroni Bellucci (stemma dell'arco trionfale del presbiterio). Tra le poche opere d'arte scampate alla dispersione si segnalano il fonte battesimale, le acquasantiere (in breccia rossa) e le lapidi sepolcrali.

Il campanile è dei primi del Novecento. La Chiesa, settecentesca, presenta una struttura a croce latina, a tre navate. Alla sua realizzazione originaria, collaborarono artisti celebri, rinomati per aver partecipato alla costruzione della reggia di Caserta. Al suo interno, si trovano gli stemmi delle famiglie di cui sopra, e cioè la Bellucci (il cui stemma è l'elefante turrito), le famiglie Meoli, De Cicco, Boscia. Alla realizzazione di un quadro della Chiesa stessa, ha contribuito il celebre artista D'Onofrio. Essa è stata restaurata l'ultima volta nel 1949, in seguito alle distruzioni della seconda guerra mondiale guerra. CASTELLO CARACCIOLO Tra i monumenti più prestigiosi presenti nel centro storico di Melizzano, è possibile ammirare il Castello, attualmente di proprietà della famiglia Caracciolo D'Aquara.

Le sue origini risalgono al XVI sec. Di proprietà dei principi di Conca, passò successivamente a Bartolomeo Corsi. Infine, il Duca Lucio Caracciolo D'Aquara lo ereditò alla morte dello zio, il Barone Meoli del Torello. Pirandello scrisse, nel castello di Melizzano, numerosi racconti ed Eduardo De Filippo ambientò una delle sue commedie di maggiore successo “De pretore Vincenzo”. Vanta una facciata monumentale realizzata con il tufo grigio estratto dalle cave del territorio. Il Castello, a due piani, è caratterizzato da eleganti archetti pensili e dal coronamento con merlatura a coda di rondine. Il piano terra è collegato a quello nobile da una sontuosa scalinata, schermata da una balaustra traforata con motivi ornamentali romanici e cinquecenteschi.

Dopo gli interventi architettonici del XVIII sec., il castello acquisì la funzione definitiva di residenza nobiliare campestre. Le ampie sale interne conservano tutte le sembianze dei castelli dell'epoca, con una spiccata impostazione di difesa e con merlature e torri fortificate. Il Castello ospita un'erma in marmo pario di fine fattura, datata ai primi decenni del I secolo dC; La Famiglia Caracciolo possiede anche un piccolo maniero in località Torello di Melizzano, che presenta ambienti prestigiosi, un giardino curato ed una bellissima piscina. Le stanze mostrano alle pareti tele e stampe del '600, arazzi e sete di San Leucio.

IL DUCA LUCIO CARACCIOLO Nasce a Lucera il 30 maggio 1898, secondogenito del duca Vincenzo e dalla duchessa Ottavia Spinelli. Dopo gli studi umanistici, si laurea prima in Giurisprudenza e poi in Lettere e in Scienze Politiche. Giovanissimo si trasferisce a Roma, dove inizia la carriera giornalistica. A soli 27 anni viene chiamato a Rovigo a dirigere il Corriere del Polesine, ricevendo numerosi encomi come più giovane direttore di testata. E' inviato di vari giorni in Egitto, America Latina, Cuba e Russia, dove viene arrestato e tenuto a lungo prigioniero. Al rientro scrive l'Isola Rossa e successivamente pubblica numerosi altri libri. A Roma frequenta il fior fiore del mondo della cultura e dell'industria. Nel 1934 sposa Beatrice Piromallo Capece e viene invitato dallo zio Barone Vincenzo Meoli di Melizzano. Alla sua morte ereditaria il Castello di Melizzano, dove Pirandello scrisse numerosi racconti ed Eduardo De Filippo ambientò una delle sue commedie di maggiore successo “De pretore Vincenzo”; Sempre nel castello, Roberto Rossellini girò molte scene del film Viva l'Italia.

Melizzano che il giovane Lucio conobbe tardi e che al principio parve un esilio, rivestì un ruolo di primaria importanza nella sua vita: fu lì che volle nascessero i suoi tre figli e lì, tra un viaggio e l'altro, amava ritirarsi a scrivere ea meditare e ad ospitare i suoi amici. Anche se della politica non ebbe un buon concetto, per un periodo rivestì anche al carica di podestà di Melizzano. Tra le sue passioni vi furono, oltre allo scrivere, le lingue (ne parlava sette) la musica, il cinema. Per circa vent'anni ha continuato a scrivere per IL MATTINO e per IL ROMA, collaborando altresì con svariati settimanali. Morì a Roma il 26 febbraio 1963, in seguito ad una banale operazione chirurgica.

Situato a metà strada tra Solopaca e Dugenta, Melizzano sorge in una zona collinare e si “adagia” sul costone tufaceo, che si affaccia sul “Maltempo”, affluente del Calore. Il paese è situato a 190 m sul livello del mare, e conta circa 2000 abitanti. Melizzano viene ricordata per la prima volta da Tito Livio quando il console Fabio, durante la guerra annibalica, per riprendere le città che erano passate al nemico, si diresse verso il Sannio.

“Il paese di Caudio nel Sannio fu più di tutti devastato violentemente; i campi furono incendiati in lungo e in largo; fu fatta ricca preda di bestiame e di uomini; le città di Compulteria, Telesia, Compsa, Melae, Fagifula e Orbitanio furono prese con la forza” (Livio, XXIV, 20). Melizzano appare chiaramente quando il primo giugno 1421 la Regina Giovanna II dona in feudo la Contea di S. Agata dei Goti e la Baronia di Tocco, i castelli di Durazzano, Limatola, Melizzano, Bagnoli e Valle di Maddaloni, confiscati a Baldassarre della Ratta e già posseduti da Carlo Artus e Onorato I Caetani (Caetani, Reg. Chart. IV, pp. 5-11).



Tuttavia il Conte Giovanni della Ratta, figlio di Baldassarre, giovane bello ed aitante nell'aspetto, valoroso cavaliere, designato dal Re Alfonso I d'Aragona ad accompagnare nel 1452 l'imperatore di Germania Federico III e la moglie nelle feste tributate a Napoli ai due sovrani, per i servizi resi al Re Alfonso riesce ad ereditare le terre ei feudi confiscati al padre (Esperti , Mem. Ist., p.248). Difatti fu proprio in occasione del suo matrimonio con Anna Orsini che il Re Alfonso gli concesse le terre ei feudi appartenuti al padre (Indice delle Cedole di Tesoreria, oggi distrutte, Arch.St. Napoli, f. 39). Morto il Conte Giovanni nell'agosto del 1457, il figlio Francesco, avendo avuto per balio da Re Ferdinado il cugino Giacomo della Ratta, Arcivescovo di Benevento, ebbe riconfermati i possedimenti ei titoli paterni, il 18 luglio 1458, tra i quali i feudi di Limatola, Dugenta ei castelli di Frasso e Melizzano (Ricca E., Ist. Dei Feudi, p. 624 – Fonti Aragonesi XII p. 95).

Si perviene al 26 marzo 1506 quando Caterina della Ratta ebbe confermati dal Re Ferdinando il Cattolico i possedimenti degli avi, tra cui i feudi di Limatola, Dugenta, Frasso e Melizzano (Minieri Riccio, dal Repertorio di Terra di Lavoro, nell'Arch. Di Stato di Napoli, fascicolo III, 1893/4, p.677-8). Alcuni anno dopo tali possedimenti furono ereditati da Francesco Gambacorta che nel 1510 sposò Caterina della Ratta, nipote della Contessa Caterina Melizzano ha una frazione, il Torello, il cui nome deriva dai “Turielli”, due torri d'avvistamento che erano situati su due colli a guardia della strada d'accesso ai monti del Taburno, in periodo longobardo.

La parte storica è caratterizzata dalla presenza dei resti di quella che era l'antica Chiesa, che aveva anche la funzione, nel sotterraneo, di cimitero. Nella Chiesa stessa, era contenuto anche un convento. L'altro centro più antico e caratteristico del paese è la Starza , anch'essa risalente al periodo longobardo (infatti i Longobardi solevano dividere la città in “starze”). L'esistenza di altri centri religiosi è testimoniata dagli uliveti di stampo benedettino che caratterizzano le colline, dalla zona di S.Spirito, dov'era situata un'abbazia, dalla cappella in Valle Corrado, e dal Santuario della Madonna della Libera, che ospita la statua omonima, settecentesca. Strutture caratteristiche del centro del paese sono la Chiesa dei SS Pietro e Paolo, il castello appartenente ai Caracciolo D'Aquara, la fontana e alcuni palazzi nobiliari appartenenti ad antiche famiglie del paese.

LA CHIESA SS PIETRO E PAOLO L'area di Melizzano fu abitata sin d'età sannitica come attesta la necropoli ritrovata. In età medievale, ritenendo di dubbia identificazione una citazione di età longobarda, il primo riferimento certo è nel “Catalogus baronum” normanno (1150 circa). Ma non si fa menzione delle chiesa di S. Pietro né in questo né nei documenti successivi per cui le origini della chiesa restano oscure. Indirettamente, per la presenza del centro abitato e la titolazione, se ne può ipotizzare la fondazione al XII secolo. L'elenco degli arcipreti è documentato dal 1388.



Si crede che la chiesa attuale sia stata costruita nel 1742, sotto il parroco Mancino. L'edificio probabilmente sostituì una chiesa preesistente (distrutta dal grande sisma di Cerreto, 1688) della quale resta il piccolo portale laterale in calcare, di aspetto quattrocentesco ma con la data AD 1881. In forme ridotte e con soluzioni di minor ricchezza decorativa, la gradinata del sagrato e la geometria della facciata ricordano i corrispondenti elementi della Collegiata di San Martino di Cerreto Sannita (1728-30). Una coppia di doppie paraste per lato delimitano la facciata; sono sovrastate da altrettanti pinnacoli.

Due paraste semplici, inquadrano il semplice portale; il secondo livello, terminato da un timpano triangolare, è raccordato al primo grazie a due profili curvilinei concavi. Due oculi mistilinei (in basso, sui portali laterali) e un finestrone rettangolare danno luce all'interno, a tre navate, divise da pilastri che sorreggono volte a botte. Le pareti delle navate, delle numerose cappelle laterali e le volte sono riccamente decorate da stucchi settecenteschi di vario ed pregevole disegno, probabilmente realizzato su committenza dei baroni Bellucci (stemma dell'arco trionfale del presbiterio). Tra le poche opere d'arte scampate alla dispersione si segnalano il fonte battesimale, le acquasantiere (in breccia rossa) e le lapidi sepolcrali.

Il campanile è dei primi del Novecento. La Chiesa, settecentesca, presenta una struttura a croce latina, a tre navate. Alla sua realizzazione originaria, collaborarono artisti celebri, rinomati per aver partecipato alla costruzione della reggia di Caserta. Al suo interno, si trovano gli stemmi delle famiglie di cui sopra, e cioè la Bellucci (il cui stemma è l'elefante turrito), le famiglie Meoli, De Cicco, Boscia. Alla realizzazione di un quadro della Chiesa stessa, ha contribuito il celebre artista D'Onofrio. Essa è stata restaurata l'ultima volta nel 1949, in seguito alle distruzioni della seconda guerra mondiale guerra. CASTELLO CARACCIOLO Tra i monumenti più prestigiosi presenti nel centro storico di Melizzano, è possibile ammirare il Castello, attualmente di proprietà della famiglia Caracciolo D'Aquara.

Le sue origini risalgono al XVI sec. Di proprietà dei principi di Conca, passò successivamente a Bartolomeo Corsi. Infine, il Duca Lucio Caracciolo D'Aquara lo ereditò alla morte dello zio, il Barone Meoli del Torello. Pirandello scrisse, nel castello di Melizzano, numerosi racconti ed Eduardo De Filippo ambientò una delle sue commedie di maggiore successo “De pretore Vincenzo”. Vanta una facciata monumentale realizzata con il tufo grigio estratto dalle cave del territorio. Il Castello, a due piani, è caratterizzato da eleganti archetti pensili e dal coronamento con merlatura a coda di rondine. Il piano terra è collegato a quello nobile da una sontuosa scalinata, schermata da una balaustra traforata con motivi ornamentali romanici e cinquecenteschi.

Dopo gli interventi architettonici del XVIII sec., il castello acquisì la funzione definitiva di residenza nobiliare campestre. Le ampie sale interne conservano tutte le sembianze dei castelli dell'epoca, con una spiccata impostazione di difesa e con merlature e torri fortificate. Il Castello ospita un'erma in marmo pario di fine fattura, datata ai primi decenni del I secolo dC; La Famiglia Caracciolo possiede anche un piccolo maniero in località Torello di Melizzano, che presenta ambienti prestigiosi, un giardino curato ed una bellissima piscina. Le stanze mostrano alle pareti tele e stampe del '600, arazzi e sete di San Leucio.

IL DUCA LUCIO CARACCIOLO Nasce a Lucera il 30 maggio 1898, secondogenito del duca Vincenzo e dalla duchessa Ottavia Spinelli. Dopo gli studi umanistici, si laurea prima in Giurisprudenza e poi in Lettere e in Scienze Politiche. Giovanissimo si trasferisce a Roma, dove inizia la carriera giornalistica. A soli 27 anni viene chiamato a Rovigo a dirigere il Corriere del Polesine, ricevendo numerosi encomi come più giovane direttore di testata. E' inviato di vari giorni in Egitto, America Latina, Cuba e Russia, dove viene arrestato e tenuto a lungo prigioniero. Al rientro scrive l'Isola Rossa e successivamente pubblica numerosi altri libri. A Roma frequenta il fior fiore del mondo della cultura e dell'industria. Nel 1934 sposa Beatrice Piromallo Capece e viene invitato dallo zio Barone Vincenzo Meoli di Melizzano. Alla sua morte ereditaria il Castello di Melizzano, dove Pirandello scrisse numerosi racconti ed Eduardo De Filippo ambientò una delle sue commedie di maggiore successo “De pretore Vincenzo”; Sempre nel castello, Roberto Rossellini girò molte scene del film Viva l'Italia.

Melizzano che il giovane Lucio conobbe tardi e che al principio parve un esilio, rivestì un ruolo di primaria importanza nella sua vita: fu lì che volle nascessero i suoi tre figli e lì, tra un viaggio e l'altro, amava ritirarsi a scrivere ea meditare e ad ospitare i suoi amici. Anche se della politica non ebbe un buon concetto, per un periodo rivestì anche al carica di podestà di Melizzano. Tra le sue passioni vi furono, oltre allo scrivere, le lingue (ne parlava sette) la musica, il cinema. Per circa vent'anni ha continuato a scrivere per IL MATTINO e per IL ROMA, collaborando altresì con svariati settimanali. Morì a Roma il 26 febbraio 1963, in seguito ad una banale operazione chirurgica.

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